I consorzi di bonifica sono concessionari dei beni demaniali che vengono loro affidati e non meri detentori. Quindi, sono tenuti al pagamento sia dell’Ici che dell’Imu. E non possono fruire dell’esenzione dalle imposte comunali nonostante esercitino una funzione pubblica di rilevanza costituzionale. E’ quanto ha affermato la Corte di cassazione con la sentenza 22647 del 24 ottobre 2014.
Ecco la sentenza sul ricorso proposto da:
CONSORZIO DI BONIFICA DELLA PIANURA DI FERRARA con sede in (OMISSIS), contro il COMUNE DI FERRARA.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consorzio in epigrafe indicato, già Consorzio di Bonifica Valli di Vecchio Reno, ha impugnato in sede giurisdizionale un avviso di accertamento per omessa presentazione della dichiarazione Ici per l’anno 2002, notificatogli dal Comune di Ferrara, in relazione al possesso di beni del demanio statale, recuperando l’imposta asseritamente dovuta, con maggiorazione di interessi e sanzioni.
L’adita commissione tributaria provinciale di Ferrara, pronunciando sul ricorso, cui resisteva il Comune, respingeva il ricorso.
Su appello del Consorzio, la commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, con la sentenza in questa sede impugnata, ha confermato la statuizione di primo grado, ritenendo legittima la pretesa fiscale, in quanto il consorzio risultava usufruttuario dei beni demaniali in base alle risultanze catastali e la L. n. 136 del 2001, art. 2, comma 7, aveva qualificato come diritto di usufrutto il titolo giuridico in base al quale il consorzio era stato autorizzato a utilizzare gli immobili. Escludevano, d’altronde, i Giudici di merito, la possibilità di applicare l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), giacchè il consorzio di bonifica non rientrava nell’elenco dei soggetti considerati dalla norma.
Contro la sentenza di appello, il consorzio di bonifica ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a cinque mezzi; il Comune resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria; il difensore del Consorzio anche note d’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo il Consorzio censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1, 3 e 5.
Con il secondo motivo viene denunciato il vizio di omessa motivazione su punto decisivo della controversia, costituito dall’avere ritenuto che il Consorzio fosse possessore delle opere oggetto di imposizione, sulla sola base del dato catastale.
Con il terzo mezzo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 3, nonchè artt. 823 e 978 c.c.
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 136 del 2001, art. 2, comma 7, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 3.
Con il quinto mezzo la decisione viene censurata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. A).
I primi quattro motivi di ricorso riguardano la questione dell’imponibilità o meno, ai fini ICI, dei beni demaniali nella disponibilità dei consorzi di bonifica ed utilizzati per l’espletamento della loro attività istituzionale. Stante l’intrinseca connessione, tali motivi vanno trattati congiuntamente.
Osserva, in vero, il Collegio, che la commissione tributaria regionale ha attribuito al consorzio di bonifica la veste di usufruttuario degli specifici beni di cui all’oggetto, in base alle risultanze dei dati catastali.
Quindi ha richiamato la L. n. 136 del 2001, la quale stabilisce, all’art. 2, comma 7, che “sono trasferiti a titolo gratuito ai consorzi di bonifica, costituiti ai sensi delle norme approvate con R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 59, le aree ed i fabbricati demaniali sui quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti costituito il diritto di usufrutto a favore dei consorzi stessi”.
La decisione, sul punto, è censurata dal ricorrente sotto entrambi i punti di vista ed, in effetti, va corretta per ciò che attiene all’essenziale profilo dell’esistenza, in capo al consorzio di bonifica, di un diritto di usufrutto sui beni demaniali alla data di entrata in vigore della legge citata.
Il che dispensa il Collegio dalla necessità di esaminare l’ulteriore consequenziale questione involta dal riferimento della commissione tributaria all’art. 2, comma 7, della Legge citata, quanto al fatto se l’oggetto del disposto trasferimento a titolo gratuito degli immobili demaniali abbia, nel 2001, riguardato i beni demaniali in sè, di cui il consorzio risultasse usufruttuario, ovvero – come un’interpretazione logico-sistematica farebbe supporre, in coordinazione col dettato del successivo D.Lgs. n. 85 del 2010 – i soli diversi beni che, nel tempo, fossero divenuti non più suscettibili di utilizzazione funzionale agli scopi di bonifica, sì da poter costituire oggetto di un provvedimento di generalizzata patrimonializzazione di quell’ente. L’errore giuridico in cui la commissione è incorsa, quanto alla suddetta preliminare considerazione di esistenza di un diritto di usufrutto del consorzio sugli immobili demaniali, è costituito dall’essere stata tale considerazione dedotta dal dato catastale.
Invero è infondata l’attribuzione alle risultanze catastali di una piena rilevanza di prova, quanto al titolo giuridico posto a base del rapporto tra il soggetto indicato nella partita catastale e l’immobile. Le risultanze del catasto sono dalla giurisprudenza di questa corte da sempre considerate vincolanti – finchè non modificate a seguito di contenzioso con l’agenzia del territorio – soltanto per quanto concerne la natura del bene, come emergente dal classamento, e la rendita catastale (v. tra le tante sez. un. n. 9203- 07, cui adde sez. un. n. 18565-09 e n. 675-10). Mentre, relativamente agli aspetti afferenti la titolarità del bene o la natura del diritto vantato, quelle risultanze possiedono, nei giudizi diversi dalla rivendicazione, mero valore indiziario, sempre destinato a cedere il passo dinanzi alla esistenza di titoli giuridici (comunque dedotti) di segno contrario (cfr. Cass. n. 16094/03 e poi anche Cass. n. 22972-10 e n. 22973-10).
E, a proposito della affermata esistenza del titolo giuridico cui associare il presupposto impositivo, va anche precisato che l’onere della prova incombe sull’amministrazione.
Può osservarsi che non è dato individuare nell’ordinamento alcuna disposizione idonea a ritenere costituito un diritto di usufrutto su beni del demanio idrico statale in favore dei consorzi di bonifica.
Per altro non è menzionato dal comune (o dalla commissione tributaria) alcun atto in tal guisa rilevante, quanto al caso concreto del consorzio di bonifica della pianura di Ferrara.
Da questo punto di vista l’argomentazione del consorzio ricorrente è pienamente condivisibile.
La veste giuridica di usufruttuario risulta, infatti, quanto al rapporto tra i consorzi e gli immobili demaniali funzionali alla bonifica integrale, soltanto da una circolare ministeriale, di poco susseguente al R.D. n. 215 del 1937.
Si tratta della circ. n. 2 del 31 gennaio 1937, con la quale venne stabilito che i beni pertinenti alle opere di bonifica fossero intestati alla partita del demanio pubblico dello Stato e, dopo la consegna, altresì al conto del consorzio di bonifica quale usufruttuario.
Sennonchè la circolare, per le implicazioni che ne derivano in ordine all’applicazione delle norme fiscali, non si può considerare equivalente al titolo giuridico idoneo alla costituzione del diritto, stante il limite insito nella corrispondente posizione assunta nell’ordinamento.
In generale va confermato che le circolari ministeriali sono meri atti interni, destinati ai soli uffici dell’amministrazione fiscale; e quindi non hanno alcuna rilevanza ai fini dell’applicazione dei tributi. In sostanza, non provenendo dall’organo deputato a emanare norme, le circolari non hanno efficacia di legge tributaria (v. Cass. n. 14619-00; n. 21184-08).
Al limite funzionale risponde anche la circolare appena citata.
La quale dunque è semplicemente irrilevante in ordine al problema posto dalla attuale controversia, anche sorvolandosi sul fatto di essere stata – essa – al tempo della sua emanazione, motivata col fine precipuo di perseguire, in coincidenza coi poteri di riscossione assegnati ai consorzi, altresì le entrate erariali affinchè il consorzio – si legge nella circolare – “cominciando a godere dei proventi di opere e pertinenze, vi paghi i tributi e contributi fondiari”.
Ciò premesso, non può tuttavia sostenersi che, ai fini dell’Ici, il consorzio di bonifica sia da considerare mero detentore degli immobili demaniali.
Il rapporto tra i consorzi di bonifica e i beni del demanio loro affidati è in verità declinabile secondo lo schema della concessione a titolo gratuito; ed è un rapporto basato sulla stessa legge istitutiva dei consorzi (il R.D. n. 215 del 1933), in correlazione con la funzione specifica, ivi loro assegnata, di “esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica” (art. 54 del R.D. cit.).
Derivando il titolo direttamente dalla legge, non era necessaria l’emanazione di un conseguente atto amministrativo propriamente concessorio.
In altre parole, i consorzi possiedono i beni demaniali in quanto quei beni sono loro affidati in uso per legge, in qualità di soggetti obbligati alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere realizzate per finalità di bonifica e di preservazione idraulica.
Ciò posto, la relazione tra il consorzio e i beni, avente titolo nella legge, non può essere relegata nell’alveo della detenzione mera, come d’altronde è indirettamente confermato dall’essere i relativi contributi (alla spesa di esecuzione e manutenzione delle opere pubbliche) considerati esigibili dai consorzi stessi come oneri reali sui fondi dei contribuenti (R.D. n. 215 del 1933, art. 21).
Trattasi di possesso qualificato dal titolo.
Pertanto, ai fini dell’imposizione di cui è causa, rileva il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, come modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 18, comma 3, secondo il quale soggetti passivi dell’Ici sono, da un lato, il proprietario degli immobili di cui all’art. 1, comma 2, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi, e dall’altro, “nel caso di concessione su aree demaniali”, il soggetto concessionario.
Deve allora in tal senso, confermarsi la decisione della commissione tributaria.
Il consorzio di bonifica, in relazione ai beni demaniali posseduti in funzione delle opere integrali di bonifica, era – in senso formale – soggetto passivo dell’Ici.
E, considerata la fattispecie ratione temporis, non v’era neppure la necessità di stabilire se (come pure è implicito nella legge citata)la concessione ex lege gli avesse attribuito il diritto di costruire immobili sul demanio (a tipo di canali, argini, stazioni idrovore, dighe, centraline, bacini di conca o altro), e avesse avuto, quindi, effetti reali (con la conseguenza della tassabilità degli immobili ai fini Ici, in capo al concessionario, già prima dell’anno 2000), oppure effetti solo obbligatori (con la diversa conseguenza della loro anteriore intassabilità), secondo la distinzione altre volte da questa corte affermata al riguardo (v. per tutte Cass. n. 24969-10, nonchè per ulteriori spunti, Cass. n. 9935/08, n. 22522-09; n. 15479-10; e v. anche, sulla teorica assoggettabilità all’Ici del concessionario di un’area demaniale per la costruzione di un opificio industriale, Cass. n. 22757-04).
I primi quattro motivi di ricorso vanno per tale ragione rigettati.
Egualmente infondato è il restante motivo di ricorso, che ripropone la questione relativa all’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a).
Infatti, l’esenzione, invocata per essere la bonifica del territorio confacente a una funzione pubblica di rilevanza costituzionale, assolta dai consorzi, deve, comunque, ritenersi negata correttamente, dal momento che la norma che la prevede riguarda gli immobili posseduti dallo Stato e dagli altri enti pubblici ivi elencati, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali di questi (v. tra le tante Cass. n. 24593-10; n. 8450-05) e che, tra i citati soggetti non rientra il consorzio di bonifica.
Trattasi, infatti, di norma di stretta interpretazione, in quanto avente natura derogatoria di previsioni impositive generali, come tale insuscettibile di estensione al di là delle ipotesi tipiche disciplinate.
Conclusivamente, il ricorso va rigettate.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
FONTE: Corte di Suprema Cassazione, Sezione Tributaria
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